"Viaggio al Centro della Terra" (1864) [romanzo completo]
"Voyage au centre de la Terre"
Di Jules VerneIl sogno di Axel
"Afferro il cannocchiale e osservo il mare: è deserto. Senz'altro siamo ancora eccessivamente vicini alle coste. Guardo per aria. Chi potrebbe vietare a qualcuno di quegli uccelli ricostruiti dall'immortale Georges Cuvier, lo zoologo e paleontologo francese, creatore dell'anatomia comparata e della paleontologia, di fendere con le ali i pesanti strati dell'atmosfera? I pesci sarebbero senza dubbio per loro un sufficiente nutrimento. Esploro lo spazio; ma l'aria è deserta come le rive.
La mia immaginazione, comunque, mi porta a fantasticare riguardo alla paleontologia. Sono sveglio ma sogno ugualmente, e mi sembra di vedere sull'acqua i giganteschi chersiti, quelle primitive tartarughe, assai simili a isole galleggianti; si muovono sulla spiaggia ormai rabbuiata i grandi mammiferi dei primi periodi della creazione, il leptotherium, ritrovato nelle caverne del Brasile, il mericotherium, proveniente dalle fredde lande siberiane, più oltre, il pachiderma lophiodon, un gigantesco tapiro, si cela dietro le rocce, pronto a strappare la preda all'anoplotherium, strano animale assai simile al nostro rinoceronte, ma che ha qualcosa in comune anche con il cavallo, con l'ippopotamo e, perché no? anche col cammello, come se il buon Dio, troppo preso dalla fretta nelle prime ore della creazione del mondo, avesse voluto riunire in uno solo molti altri animali. Il gigantesco mastodonte ruota la sua proboscide e stritola con le zanne le rocce della spiaggia, mentre il megatherium, ritto sulle enormi zampe, cerca nella terra ridestando con le sue grida l'eco dei graniti sonori. Più oltre il Protopiteco, la prima scimmia apparsa sulla superficie della Terra, s'arrampica sulle impervie cime; e più su ancora, il pterodattilo dalla mano alata volteggia come un grosso pipistrello nell'aria compressa infine, negli ultimi strati, giganteschi uccelli, più forti del casoaro, quel grande uccello corridore, proprio dell'Australia e dell'Arcipelago malese, più grandi dello struzzo, distendono le loro ali e vanno a battere il capo contro la parete della volta di granito. Tutto questo mondo fossile rivive nella mia fantasia. Ripenso all'età primitive della creazione, molto tempo prima della nascita dell'uomo, quando la Terra ancora in formazione non gli era sufficiente. Il mio sogno anticipa allora l'apparizione degli esseri animati. Scompaiono i mammiferi, quindi gli uccelli, e i rettili dell'era secondaria; infine i pesci, i crostacei, i molluschi e gli artropodi. Gli ammoniti dell'era cretacica a loro volta ritornano nel nulla. Tutta la vita della Terra si riassume in me, e il mio cuore è solo a battere in quel mondo senza la presenza dell'uomo e degli altri esseri. Né stagioni, né climi; il calore proprio della Terra si accresce incessantemente e neutralizza quello del Sole; la vegetazione si espande. Io passo come un'ombra tra le felci arboree; calpesto con piede incerto le marne iridescenti e la creta screziata del suolo. Mi appoggio al tronco delle gigantesche conifere e mi sdraio all'ombra degli sfenofilli, degli asterofilli, dei licopodi che si ergono per oltre cento piedi d'altezza. I secoli trascorrono come fossero giorni! Risalgo la serie delle terrestri trasformazioni. Le piante scompaiono, le rocce di granito smarriscono la loro solidità, lo stato liquido si sostituisce al solido a causa dell'azione di un calore più forte; le acque scorrono alla superficie della Terra, la quale, un poco alla volta, non è altro che una massa gassosa, riscaldata al calor bianco, grande come il sole e parimenti splendida. Al centro di questa nebulosa, un milione e quattrocentomila volte più grande del globo che essa formerà un giorno, io mi sento trascinato negli spazi planetari! Il mio corpo si assottiglia, si esalta a sua volta e si mescola come un atomo imponderabile a quegli immensi vapori che tracciano nell'infinito la loro orbita infiammata!
Quale sogno! Dove mi trasporta? La mia mano tremolante ne scrive sulla carta gli strani particolari! Ho scordato tutto, professore, guida, zattera; il mio spirito è in preda alla più viva eccitazione... Che cos'hai? mi chiede lo zio. I miei occhi si fissano su di lui senza però vederlo. Attento, Axel, o finirai col cadere in mare! Ecco, in questo preciso istante, mi sento prendere con forza la mano da Hans; se non fosse stato per lui, inebriato dalle immagini oniriche sarei senz'altro caduto tra i flutti. Sei diventato forse pazzo? disse il professore. Che cosa c'è? dico riprendendomi. Stai male? No, ho avuto per un momento un'allucinazione, ora va meglio va tutto bene, no? Ottimamente. Buon vento, buon mare. Procediamo rapidamente e, se non sbaglio, tra poco dovremmo toccar terra. Nel sentire queste parole mi alzo in piedi, osservo l'orizzonte: la linea delle acque si confonde con quella delle nuvole."
Édouard Riou illustrò la settima edizione dell'opera verniana (1867). |
per approfondimenti: 03/02/2012 Gideon Mantell e 09/02/2012 De la Beche e Hawkins, padri della paesaggistica "preistorica" |